Quando Christian Metz catalogò le materie sonore dell’espressione filmica (la musica, la parola parlata, i rumori d’ambiente), avrebbe dovuto tenere in maggior conto il doppiaggio.
La voce del doppiatore entra nell’impasto sonoro con un’autorevolezza e con effetti di cui i registi più esigenti sono ben consapevoli. Bastano a dimostrarlo, per quanto riguarda il cinema italiano, per esempio Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Il primo si affidò alle più accreditate cooperative ( la O.DI, la C.D.I., la S.A.S, da Roma in poi la C.V.D. di Oreste Lionello), ma supervisionò sempre con la massima attenzione il doppiaggio dei propri film. Però non mancano alcuni aneddoti curiosi, come la scelta di affidare la voce di Bhishima, in Giulietta degli spiriti, all’ imitatore Alighiero Noschese, o quello di costituire un pool di doppiatori appartenenti a organizzazioni diverse (Rita Savagnone, Massimo Turci, Carlo Croccolo, Corrado Gaipa, Gianni Giuliano) per Satyricon.
Più vario ancora il caso di Pier Paolo Pasolini. All’inizio il regista si serve di cooperative ortodosse, con la predilizione per la C.D.I. (Accattone, Uccellacci e uccellini, Teorema, La ricotta).
In seguito, il fascino che prova per il doppiaggio (“conferisce – diceva – un sovrappiù di mistero al film”) si concretizza in una serie di elaborazioni sperimentali , in nome del “rifiuto del naturale e della “propensione per il pastiche” che egli stesso si riconosce. Alla Trilogia della vita si prestano come doppiatori attori celebri, dalle voci inconfondibili: come Edoardo De Filippo, che doppia un vecchio nei Racconti di Canterbury, e Laura Betti. A volte Pasolini usa amici intellettuali, quali Giorgio Bassani e Dario Bellezza. In altri casi della Trilogia ricorre a gente comune, dal marcato accento dialettale, per rendere l’eloquio arcaico di terre e tempi lontani.
da Primafila n. 82 marzo 2002
Monografia a cura di Tiziana Voarino
La voce nell’ombra