E’ praticamente impossibile riassumere in poche righe meriti e demeriti del doppiaggio italiano.
Vale a dire di un meccanismo di adattamento e di funzionamento che in Italia condiziona in modo definitivo, dall’avvento del sonoro ad oggi, il modo di conoscere, vedere, giudicare il cinema da parte di milioni di spettatori.
I quali, solo adesso, attraverso alcune reti satellitari, cominciando ad imbattersi in maniera meno casuale e più sistematica nella proiezione di film stranieri in copie sottotitolate, prima d’ora riservate alle visioni elitarie dei festival internazionali e nei locali specializzati (ma non è il caso di ridestare qui, insane querelle, l’antica polemica fra doppiaggio e sottotitolazione).
Sarà sufficiente ricordare che il doppiaggio, ove venga praticato senza il dovuto rispetto della deontologia professionale (purtroppo accade), può portare a storture di ogni genere.
Fra le minori la sistematica violazione del significato di alcune parole.
Ad esempio, in molti western del tempo andato, la traduzione con la parola “Sceriffo” sia di “Sheriff” che di “Marshall”, probabilmente perché in questo secondo caso il letterale “Maresciallo” sembrava poco adatto a uno sfondo americano e comunque tale da far pensare ai carabinieri di casa nostra (la differenza sta nel fatto che quella di “Sceriffo” è una carica elettiva mentre il “Marshall” è in ogni caso un dipendente federale, per l’esattezza un “U.S. Marshall” con cammino professionale e competenze assai diverse).
Altrettanto dicasi di “Football” (nel senso di “American Football”) tradotto per anni con “Rugby”, fra la legittima indignazione dei cultori delle diverse specialità della palla ovale.
Per non parlare del modo fantasista con cui sono generalmente adattati in italiano i gradi dell’aviazione militare inglese (e delle marine militari sia inglese che, soprattutto, americana).
Per quel che riguarda i primi basterà dire che “Maggiore” (Squadron Leader) è tradotto con “Capo Squadrone”, che “Tenente colonnello” (Wing Commander) è dato come “Comandante d’ala” e che “Colonnello” diventa “Capitano di gruppo” (Group Captain), naturalmente con il risultato che nessun italiano, salvo uno specialista in gradi, può capirci qualcosa.
Ben più gravi sono i casi in cui il doppiaggio sposta di luogo, di tempo e di motivazioni un intero film.
E’ il caso , per fare un solo esempio, di L’incubo di Mau Mau (The Heart of the matter, 1953) di George More O’Ferrall, da Graham Grrene, in cui tutto è falsificato: luogo, anno di svolgimento, motivazione finale, grazie ad un dialogo che cerca di spostare in avanti di dieci anni la vicenda… per non far cenno di film dove nell’originale si parlano almeno due lingue mentre nella versione italiana tutto è doppiato solo nella nostra lingua, con risultati ora paradossali ora apertamente comici… Qui il discorso si farebbe enorme e lo taglio subito.
A conclusione mi limito a rievocare una curiosa bizzarria segnalatami dall’amico Piero Pruzzo: nella versione ridoppiata negli anni ’80 da Rai Tre del delizioso Lettere a una sconosciuta di Max Ophuls, tratto da un racconto di Stefan Zweig, in una battuta in cui si parla di vini italiani l’originale “Valpolicella” è adattato come “Bardolino”, non si sa se per ragioni di spazio (quattro sillabe invece di cinque) o per polemica enologica … Credo che non lo sapremo mai.
da Primafila n. 82 marzo 2002
Monografia a cura di Tiziana Voarino
La voce nell’ombra