La figura di  Giuseppe Rinaldi sta al doppiaggio italiano come Dario Fo sta al teatro. Qualcosa che attraversa i decenni e le mode e che si afferma come un punto di riferimento fondamentale per quanti amano quello strano mestiere che è fare il doppiatore. Ho avuto modo di parlare recentemente con Rinaldi.

Loredana Giuseppe Rinaldi

Loredana e Giuseppe Rinaldi

Attraverso la cornetta del telefono mi parlavano tutti i miei eroi con una voce ancora incredibilmente bella e intensa.

Era Paul Newman che sollevava le braccia in Detective Harper o Stewe Mc Queen che cerca di fuggire dal campo di prigionia ne La Grande fuga o il mercante Steiger dell’Uomo del banco dei pegni o Charles Vronson con la sua armonica nel capolavoro di Leone C’era una volta il west.

Ma era anche il William Holden che corteggia Sabrina, Jack Lemmon, Richard Burton, Rock Hudson, Peter Sellers e mille altri.

Forse tutti non se li ricorda più nemmeno lui e certamente sono più di mille.

In occasione della V edizione del Festival Voci nell’Ombra abbiamo premiato Rinaldi per il suo contributo al mondo del doppiaggio con la targa dedicata ad un altro “monumento” del doppiaggio nazionale Gualtiero De Angelis.

Lui era assente per motivi di salute e la targa è stata ritirata dalla moglie, Maria Pia Casilio e dal figlio Massimo.

Ma un premio per quanto sentito e sincero, è poco per raccontare il ruolo che Rinaldi ha avuto nel cinema nel dopo guerra. Anche adesso che esistono voci formidabili e piene di fascino, ma c’è qualcosa nel timbro di Rinaldi che rende la sua interpretazione unica e irripetibile.

Forse perchè il cinema che lui raccontava appartiene a una dimensione sottilmente epica, fatta di storie e non di effetti speciali, fatta di divi e non di corpi sudati.
Dove il gesto non aveva bisogno di essere eccessivo e dove la parola aveva un senso compiuto. Cioè, un cinema che è diventato marginale e confinato in una riserva.
Quindi Rinaldi è veramente l'”Ultimo dei Mohicani”, testimone di un doppiaggio che sicuramente ha mutato strada e dinamiche progettuali, forse ha perso anche fascino e profondità.
Ma questa è solo nostalgia probabilmente. Rinaldi è semplicemente una delle  più belle voci che il doppiaggio abbia avuto. Una voce piena, densa, capace di appiccicarsi, come una seconda pelle ai principali attori americani del dopoguerra sino agli anni settanta, ma anche un doppiatore di molti attori italiani come Renato Salvatori.
Anche la sua vita è stata intensa. Una carriera di attore legata a ruoli marginali ( si pensi che in un film del 1941, La bocca della strada, Rinaldi è addirittura doppiato da Stefano Sibaldi), tre matrimoni e tre figli due delle quali sono doppiatori e una attrice. Ma è il doppiaggio che lo rende unico, indimenticabile.

Qualcosa che rimarrà per sempre scolpito nella storia del cinema.

Prima Fila

da Primafila n. 82 marzo 2002
Monografia a cura di Tiziana Voarino
La voce nell’ombra